Sapro, affondo della Banca di Forlì: "Colpa dei soci". La replica: "Solo le banche potevano salvarla"
Sapro, affondo della Banca di Forlì: "Colpa dei soci". La replica: "Solo le banche potevano salvarla"
Non si placano le tensioni su Sapro. La Banca di Forlì, una delle banche creditrici della società dichiarata fallita dal tribunale di Forlì nei giorni scorsi, ha affisso un manifesto nella propria sede in cui si indicano le responsbilità del fallimento puntando il dito a chi "ha gestito e contrallato la società". Una tesi che non viene accettata dai soci, cioè gli enti locali, che reagiscono duramente con una presa di posizione congiunta: "solo i creditori potevano salvare la società".
La Banca di Forlì, banca del gruppo Banca di credito cooperativo, rivendica di aver operato sin dal marzo 2010 (periodo in cui è stata depositata l'istanza di fallimento di Sapro) "in modo trasparente, costruttivo e collaborativo". Un atteggiamento che la Banca forlivese non attribuisce ai Comuni di Forlì e Cesena, alla Provincia e alla Camera di commercio, i principali soci di Sapro.
"Nel settembre gli enti soci hanno mutato radicalmetne il proprio orientamento, dichiarando di non essere più disponibili all'operazione", sostiene la banca, affermando che gli istituto di credito sono stati posti "di fronte al fatto compiuto" e cioè "la messa in liquidazione della società".
La banca lamenta che i soci non hanno rispettato l'impegno di versare i 3,4 milioni di euro che erano richiesti per compiere l'aumento di capitale, oltre a non aver rispettato - sostiene Banca di Forlì - l'impegno a "scorporare alcune aree rilevanti a vocazione industriale, a concedere fidejussioni per 8 milioni di euro". Dalla messa in liquidazione Banca di Forlì sostiene che gli istituto di credito non sono più stati convocati dai soci.
"Ci dispiace leggere le numerose inesattezze contenute nelle considerazioni non condivisibili della Banca di Forlì ai soci di Sapro Spa sulla vicenda del fallimento della società", affermano congiuntamente Roberto Balzani, Paolo Lucchi, Massimo Bulbi e Alberto Zambianchi. "Capiamo che, in questa fase, gli istituti di credito possano avere posizioni divergenti, anche tra di loro - affermano gli enti -: divergenze che per altro già si erano manifestate negli innumerevoli incontri e contatti che si sono succeduti negli ultimi mesi per discutere del salvataggio di Sapro. Non per questo, però, si possono giustificare ricostruzioni dei fatti e valutazioni tecniche che dovrebbero essere lapalissiane per chi ha la responsabilità di gestire una banca".
I soci respingono le accuse di scarso coinvolgimento delle banche. "Al contrario, nei mesi di luglio ed agosto si è discusso a lungo sulla realizzazione di un nuovo piano di ristrutturazione del debito - spiegano sindaco di Forlì e Cesena, presidente della Provincia e della Camera di commercio -, adeguato e risolutivo da presentare urgentemente al Tribunale, che prevedeva anche l'erogazione di un prestito ponte da parte delle banche per far fronte alle immediate necessità di liquidità della società".
"Tuttavia, nonostante lo scambio di lettere con gli istituti di credito il prestito non è mai stato concesso - constatano amaramente i soci -. La scelta della messa in liquidazione è stata quindi inevitabile, considerata la prolungata non operatività della società e l'erosione del capitale sociale".
Bulbi, Balzani, Lucchi e Zambianchi rivendicano inoltre il fatto che "gli istituti di credito, inoltre, sono stati coinvolti ripetutamente, collettivamente e singolarmente, anche dopo l'estate da parte di chi aveva il compito della gestione di Sapro, vale a dire il consiglio di amministrazione prima e la liquidatrice Lea Mazzotti dopo".
Sulla vicenda dei 3,4 milioni, i soci fanno presente che "si omette il dettaglio, assai rilevante, che gli enti soci avevano già deliberato nei rispettivi Consigli l'impegno finanziario di 3,4 milioni in totale come azione concreta dei soci per salvare Sapro, e che l'operazione non ha avuto esito per effetto dalla mancata omologa del piano di ristrutturazione del debito".
I soci di Sapo sono enti pubblici, e quindi "le decisioni non possono essere assunte con le stesse modalità delle società private e, nello specifico, agli enti non sono consentite azioni di rischio che possano configurare ipotesi di danno erariale. Tutto questo, peraltro, non deve lasciar sfuggire il nucleo della questione: solo i creditori, e non i soci, potevano salvare Sapro dal fallimento".